Con l’apertura del Giappone al commercio e l’industrializzazione, i tatami si sono diffusi tanto da diventare in occidente sinonimo di pratica delle arti marziali.
Un detto giapponese recita: 畳の上の水練 (tatami no ue no suiren), ovvero “provare a nuotare sul tatami”. Il significato è che apprendere le cose sui libri è diverso dalla realtà delle cose. E allenarsi a casa, o in palestra, è tutt’altra cosa dalla vita reale. L’esistenza di questo proverbio prova che tatami in Giappone è sinonimo di pratica ed aspirazione alla perfezione. Il tatami è lo spazio in cui l’arte marziale stessa si svolge.
I pannelli vengono utilizzati durante gli allenamenti ed i combattimenti come strumento ammortizzante. In questo modo si prevengono i traumi sul corpo successivi ad una caduta. C’è anche un’altra tradizione legata ai tatami: i maestri di spada, dopo averli arrotolati e imbevuti acqua per diversi giorni, li usavano per provare la loro bravura e il filo della loro lama.
Questo è soltanto uno dei set di Viverezen studiati per ricreare alcuni dei disegni tipici giapponesi. La scelta dei pannelli tradizionali, spessi 5,5 cm, è ottima per la pratica delle arti marziali.
Altre Isole:
4 pannelli da 90×180 cm + 1 90×90 cm
4 pannelli da 100×200 cm + 1 100×100 cm
6 o 8 pannelli da 90×180 cm
Ma cosa sono esattamente le arti marziali? Qual è la differenza tra le arti marziali e gli sport da combattimento? Le arti marziali sono scandite da tutta una serie di comportamenti e regole da adottare nell’addestramento.
Anche il termine Dojo, comunemente tradotto come palestra, ha un significato molto più profondo. La particella Do che troviamo nei nomi di molte scuole marziali, a partire dal Judo, significa “via”. Il Dojo è dunque il “luogo dove si pratica la via”, dove è possibile ottenere un arricchimento emotivo, spirituale e morale dell’uomo. Il Dojo, è innanzi tutto è vissuto come “luogo dove risiede lo spirito”.
Non sempre nella storia del Giappone le arti marziali sono state praticate su tatami di un Dojo: dovendosi difendere dai soprusi dei samurai, i contadini di riso di Okinawa, che per legge non potevano portare armi, hanno sviluppato il Karate-do, la via della mano vuota. Questo stile era incentrato su calci e pugni più che su proiezioni, e gli allenamenti si potevano svolgere anche su poveri pavimenti di terra battuta.
Le pratiche di difesa dei samurai, che vivevano alle corti dei signori feudali, si svilupparono parallelamente alla diffusione dei tatami. Questo si può vedere da come le arti marziali che ne sono risultate siano incentrate su lotta a terra, proiezioni e cadute sempre più spettacolari, che possono essere accolte solo dalla cedevolezza della paglia di riso.
Con la restaurazione Meiji e la caduta dei samurai come classe sociale, ha inizio il lento processo trasformativo delle arti marziali da combattimento (bujutsu) a pratica sportiva e per lo sviluppo personale (budo). Il tatami si diffonde a tutte le arti marziali che diventano una caratteristica identificativa del nuovo Giappone. Solo il Kendo, la via della spada, rimane escluso da questo processo, ed è tutt’ora praticato a piedi nudi su pavimento di legno.